"Come Elibelinde, mostro senza alcun pudore, la mia creatività"
Architetto con grande sensibilità artistica, ha frequentato corsi d’arte tenuti da grandi insegnanti che le hanno permesso di affinare le sue capacità. Antonella Nannicini, dopo aver frequentato per 10 anni i corsi della Scuola d’Arte Leonardo di Prato, ha appreso l’arte di modellare la terracotta, di disegnare al corso di nudo sotto la guida di Rinaldo Frank Burattin. Nella sua attività di formazione è stata fondamentale l’esperienza di Vainella, nella scuola di Leonetto Tintori, apprendendo la tecnica di affresco e scultura colorata e frequentando il corso di ceramica tenuto da Salvatore Cipolla. Con questa mostra personale, Antonella Nannicini fa il punto di questi anni di studio dando una forma compiuta al suo personale modo di esprimersi. Manifesto del suo lavoro è il sottotitolo della mostra (come Elibelinde, mostro senza alcun pudore, la mia creatività) che richiama la raffigurazione naturalistica della Grande Dea; il termine turco “Elibelinde” significa in sostanza “mani sui fianchi” e in questa figura è stilizzato l’atto della dedizione alla vita, che vuol richiamare l’aspetto del parto ma anche quello del nutrimento attraverso i seni. Antonella Nannicini ha scelto “Elibelinde” per rappresentare la sua voglia di donarsi alla vita attraverso la rappresentazione delle sue opere . Saranno in mostra circa 50 sculture e 20 pitture che evidenzieranno le sue diverse capacità artistiche che spaziano dalla terracotta, al gres policromo, dall’acquerello alla china, per arrivare fino all’affresco.
Comune di Prato Assessorato alla Cultura
Ufficio Comunicazione
“Disegnare donne”
E’ innegabile che uno come me che ha insegnato per tanto tempo a eserciti di studenti, provi un certo piacere a ritrovare dopo diversi anni che qualcosa si è attaccato di quello che ha insegnato, che tutto non sia sparito nel nulla. D’ altronde io non ho mai avuto l’ ambizione di formare una scuola, tanto che il solo pensare che qualcuno, anche bravo, imiti il mio stile mi darebbe noia. Non è il caso di Antonella Nannicini, architetto ma soprattutto un’artista alla quale, se qualcosa ho insegnato negli anni dei suoi studi in Facoltà è stato solo una certa attenzione alle cose,e in particolare alle forme dell’ architettura e della città. La sorpresa e il piacere che provo a vedere queste sculture di Antonella, quindi non consiste nel ritrovare nel suo lavoro somiglianze che ci si aspetterebbe da un’ allieva, quanto un piacer più sottile, quello che si prova incontrando qualcuno che condivide con noi gli stessi interessi, gli stessi amori un po’ maniacali per le stesse cose. E’ come quando un collezionista di francobolli s’incontra con un collega e scoprono di avere tante esperienze in comune, tante cose da dirsi, tante notizie da scambiarsi. La nostra “collezione di francobolli”, cioè la passione che ci accomuna, è l’ amore per la Donna. Ho usato il singolare per non generare equivoci: ciò di cui parlo, non fa parte di nessuna collezione o catalogo , si tratta di una sola persona che assume ogni volta ruoli e volti diversi : femmina, madre, amante, figlia, ma soprattutto donna. Le figure che modella non sono ritratti, sono l’immagine della donna come a noi giunge dalla memoria più profonda dell’umanità, simbolo di forza e di continuità della vita, come lo era per i nostri antenati, così come lo testimoniano le più antiche sculture come la “Venere di Willendorf, testimonianze di un culto della fertilità, che accompagna la vita dell’uomo fino dalla sua comparsa sulla terra. Da queste sculture modellate da Antonella se ne ricava un’ idea della bellezza femminile antica e nello stesso tempo modernissima, in quanto fondata su qualità che si vanno riscoprendo nella donna di oggi,e che si potrebbero riassumere sinteticamente in quella di “potenza”, una qualità trascurata da chi volle vedere nella donna solo il fascino dell’ eleganza o il richiamo dell’Eros. Una qualità che appartiene alla sua natura profonda di donna e che ne fa il custode unico del mistero della vita.
L’artista espone opere incentrate sulla figura femminile nelle più svariate sfaccettature ed espressioni.
Tre maestri importanti segnano in maniera evidente il percorso artistico di Antonella Nannicini, architetto con la vocazione della scultura:Leonetto Tintori, Rinaldo Frank Burattin e Salvatore Cipolla. La Nannicini infatti ha seguito i corsi dei tre insegnanti rispettivamente nella ceramica, nel nudo artistico e nel gres policromo. Ed ora i risultati del suo lavoro di ceramica e di disegno sono in mostra nel corridoio del Cassero Medioevale. “Disegnare donne” è il titolo che è stato assegnato alla mostra dal presentatore Roberto Maestro, tutta incentrata sulla figura femminile osservata in tutte le sue angolazioni, con il refrattario grezzo e smaltato, il gres policromo. Il gres e vetro. “ Come Elibelinde, la Grande Dea, mi mostro senza alcun pudore, è lei l’ispiratrice di questa mostra” dice la Nannicini e su questo abbrivo crea sculture che raffigurano, ora la donna come elemento della natura ( terra, acqua, fuoco e aria) ora la donna leone, ora la mamma orsa, ora Venere, ora la donna della montagna; e avanti con maternità, con gruppi di bagnanti ecc. Un riemergere, più che della passione e dell’eros, della bellezza antica –come ricorda Maestro - e nello stesso tempo modernissima nell’interpretazione. E i disegni alle pareti dimostrano la qualità del suo segno, l’assimilazione della lezione di Burattin.
Plasmare la terra, dare forma alla materia, è come ritornare nel grembo materno, in quel ventre della Grande Dea, che ha generato il cosmo e continua a essere fonte di vita. Le figure che nascono dal lavoro artistico di Antonella Nannicini sono Donne, anzi è la DONNA come essenza del "femminile" in tutte le sue declinazioni. Le donne dee, personificazioni di forze più o meno oscure della natura, richiamano la mitologia antica, quando le civiltà erano matriarcali e il predominio della Dea Madre non era ancora stato soppiantato da quello maschile. Eurinome è la dea che emerge dal Caos e crea tutte le cose per mezzo dei movimenti frenetici della sua danza;Agrenon, dai larghi fianchi, tesse e distende la rete come fosse un ventre primordiale dove tutte le creature trovano la loro collocazione. Elibelinde è la donna con le mani sui fianchi, che ostenta le sue forme femminili ed è metafora del ciclo continuo della rigenerazione. La Madre Terra è anche Demetra, che presiede il succedersi delle stagioni e la fertilità dei terreni; è nera: il nero non è morte ma il colore della fecondità del suolo, delle caverne, utero della Dea dove la vita ha inizio e fine. E la materia modellata da Antonella per dare forma alle sue dee è ruvida, scabra al tatto, come la terra, la roccia da cui tutto proviene. Nella molteplicità delle sue funzioni, la donna ha anche il compito di sopportare e sostenere con tutte le sue forze le vicissitudini della vita; la Donna vitruviana non è, come l'Uomo, misura perfetta e razionale di tutte le cose, ma vera e propria energia che si sprigiona dal suo corpo sciamanico, che può comunicare con le forze della natura ed agire su di loro. La donna è generatrice di vita ma presiede anche alla morte. Le parche-vaso racchiudono in sé, nella loro forma ovoide, il simbolo femminile del generare; l'intreccio dei fili che le avvolgono è la matassa della vita di cui soltanto loro, in quelle piccole teste, conoscono l'inizio, lo svolgimento e la fine. La Dea Madre è l’immagine a noi più “vicina” del divino femminile, trasmessa nei secoli in Occidente dalle Madonne cristiane, eredi della Madre Iside col piccolo Horus. La Dea col bimbo in braccio è l’icona del femminile materno sacro, della capacità intrinseca del donare e del ricevere, del grembo che accoglie e protegge la vita prima e dopo la nascita. La Madre con il Figlio o la Figlia, simboleggia il cerchio della Vita nel suo moto infinito, della Vita che genera e che si perpetua. È amabile e giocosa, affidabile e dolorosa. La semplificazione formale delle figure di Antonella è un ritrovare le forme archetipiche in cui l'esaltazione di specifiche parti del corpo femminile rappresentano di volta in volta le declinazioni dell'essere donna: il ventre che produce la vita, i seni che la nutrono, le braccia che la proteggono, le cosce che la sostengono. La terra con cui Antonella dà vita alle sue Donne è il simbolo del corpo della Madre e allora il plasmare una madre con l'argilla non è altro che il ricongiungersi con le proprie radici e rientrare in sintonia con ciò che la Terra sente e ci trasmette. La sua arte è una continua ricerca all'interno di se stessa e di tutto il genere femminile. È un'esperienza religiosa. In una città come Prato, così legata al culto di una Donna del tutto speciale di cui si conserva la Cintura, segno ancora una volta di protezione del Divino al femminile, l'omaggio che Antonella dedica alla Donna è ancor più denso di significato e sintomo del forte legame con le proprie origini.
"L’arte nel mio cammino” è al tempo stesso un’autobiografia, una descrizione, un augurio al prossimo seppur travestito da esperienza personale. Un titolo che rende giustizia del pudore e della giusta distanza, che è prossimità, che Nannicini e Pastacaldi pongono tra loro e le loro opere, a loro volta un cammino in cammino attraverso forme bi- e tri-dimensionali. Arcantarte conferma una sensibilità peculiare, laterale eppure vivissima, per tutto quanto si muove sul nostro territorio ed accarezza una vocazione che è cura, attenzione, rarefazione, presenza.
"L’arte nel mio cammino” presenta l’opera di Paolo Pastacaldi e di Antonella Nannicini uniti da una passione artistica coltivata negli anni. In un mondo frettoloso come il nostro dove la mancanza di tempo è un assillo che ci accomuna, presentare artisti che si prendono il tempo necessario per la loro arte può essere un interessante momento di riflessione. Pastacaldi presenta la sua pittura: una pittura onirica e surreale ottenuta usando colori ad olio con più tecniche fra cui la velatura. Un’arte paziente e colta che dà i suoi frutti nel saper aspettare: l’immagine si stratifica come il passare del tempo offrendo un modo di vivere più armonioso e rispettoso di noi stessi e degli altri. Nannicini, presenta le sue sculture modellate con una materia povera come la terra ma che prodigiosamente diventa plasmabile con l’aggiunta dell’acqua assecondando le forme. Con pazienza le sculture sono tirate su vuote con l’antica tecnica dei “vasai”, poi l’aria le essicca e il fuoco dà irreversibilità. I quattro elementi naturali fusi in unica arte: la ceramica. Come associazione siamo impegnati alla diffusione capillare dell’arte con particolare attenzione al mondo dei giovani. In questo caso l’obiettivo è di presentare una tecnica di pittura meno frequente ma colta e preziosa che necessita di grande disciplina intellettuale così diversa da “tutto e subito” e contemporaneamente un modo di fare ceramica che richiede progetto, manualità, sensibilità e pazienza ovvero testa, mano, cuore e tempo.
"... come labirint, con una porta sola e mille ambagi” ("Laudi del cielo, del mare, della terra, degli eroi", Gabriele D'Annunzio)
Sentire l’arte sulla propria pelle significa portarne il peso per tutta la vita, consacrare il proprio percorso artistico alla ricerca continua di un qualcosa che ogni volta sfugge o muta sembiante, come un viaggio infinito, tortuoso, eternamente in bilico tra ragione e sentimento, fatto di saliscendi, di cambi di rotta, di inversioni, di errori. Un viaggio dove l’unica scelta possibile è addentrarsi senza vincoli nel cammino stesso. Chi vive nell’arte è uno spirito errante, sempre alla ricerca di un qualcosa che sfugge ai più. Paolo Pastacaldi ed Antonella Nannicini compiono ciascuno un percorso conoscitivo del mondo attraverso l’arte, condividendo una sensibilità che li spinge entrambi, sebbene su binari diversi, ad esplorare un immaginario figurativo visionario, nel quale si incontrano, si perdono e si ritrovano più e più volte. Dialogano sul piano antropologico riflettendo sul rapporto dell’essere umano con se stesso e con la natura, ciascuno con i propri mezzi. Con surreali figurazioni, a tratti rarefatte e sintetiche, il pittore carica le sue tele del senso lento e meditativo dell’attesa, mediante la paziente e placida osservazione dei dettagli della natura, del vento che soffia tra gli alberi, dei sassi di fiume, dell’incorporeità delle nuvole, di una pianta di avena selvatica o di stanchi animali sdraiati in un prato verde. La scultrice pregna le sue opere in ceramica di suggestioni primordiali, della mistica eco della dea madre che si cela nel corpo di una donna, senza tralasciare di indagare anche il senso della storia e delle vicende umane anche negli aspetti più terreni, resi talora con l’estrema dolcezza di un senso “circolare” della forma, talaltra con picchi di drammaticità e di tragica suggestione. “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, /di quante tu ne possa sognare nella tua filosofia”: natura, mitologia e antropologia si fondono, come esemplificato da questi due celebri versi di Shakespeare nell’Amleto. Qui sono contenute quattro parole alla base della conoscenza del mondo e di noi stessi: cielo, terra, sogni e filosofia. Le contrapposizioni in cui si dibatte il genere umano, la realtà fenomenica che tocchiamo con mano contrapposta al mondo delle idee, con le aspirazioni e il bisogno di elevare lo spirito, bilanciare il mondo interiore delle emozioni e quello della ragione. Ed è solo l’inizio del viaggio… La parola desueta “ambage” che compare nella citazione in testa a questo breve scritto, - così come viene usata da D’Annunzio - sta per “giro, labirinto, andirivieni”. Proviene dal latino “ambages” da ‘amb’ (attorno, da una parte e dall’altra) e ‘agere’ (spingere, condurre). Ed allora, come mossi qua e là da una forza superiore, che sfugge alla loro stessa capacità di afferrarla e comprenderla, non a caso, Pastacaldi e Nannicini sono attori in viaggio nel panorama di un’arte in eterno cammino.